Oggi abbiamo il piacere di presentarvi l’intervista allo scrittore e giornalista Paolo Morando, autore dell’interessante libro “80: L’inizio della barbarie“.
Un libro, come avrete capito dal titolo, fortemente critico e che prende molto sul serio i germi dell’Italia a venire sviluppati nel decennio ottanta: quelli dell’Italia “nordista”, paninara, becera, rampante e razzista.
Come mai Paolo ce l’ha così tanto con gli anni 80?
Paolo, bentornato negli anni 80. Ti proponiamo un gioco che facciamo con tutti gli intervistati: hai a disposizione la DeLorean per tornare negli anni 80, in quale anno ti dirigi e cosa fai per prima cosa?
“Il cuore mi dice 1982, la notte della finale del Mondiali: ero quattordicenne in un villaggio turistico dalle parti di Palinuro, quindi isolatissimo. Vorrei invece riviverla a Roma o Milano, fino all’alba per le strade, con la macchina fotografica o la cinepresa. La ragione mi dice invece 1980, la mattina di sabato 2 agosto a Bologna: per vedere chi davvero collocò la bomba alla stazione.”
Com’erano i tuoi anni 80?
“Sono nato nel 1968, quindi erano gli anni di un liceale che studiava poco o nulla, e che trascorreva il suo tempo tra dischi e musicassette, suonando la batteria, giocando a calcio con gli amici. Quindi anni dorati, in una città di provincia come Trento lontana dai grandi eventi, un po’ sonnolenta ma tanto comoda. Impossibile non averne nostalgia, specie ora che sono alle soglie dei 50.”
Nel tuo libro “80, l’inizio delle barbarie” sei spietato verso quel decennio: perché tanto astio per il periodo?
“Nessun astio verso gli 80, davvero. Se c’è, e certo che c’è, è invece verso chi di quel decennio ricorda – e tramanda – solo una parte.
Nessuno può negare che gli 80, come ha scritto qualcuno, siano stati l’ultimo decennio felice delle nostre vite.
Ma la storia non è un menu alla carta: tutto va ricordato, altrimenti si fa ideologia, che è altra cosa. Per scrivere il libro mi sono riletto tutte le copie di Repubblica, dal 2 gennaio 1980 al 31 dicembre 1989: vi ho trovato vicende che non ricordavo, che non conoscevo e che soprattutto negli ultimi anni nessuno aveva più ripercorso. Ho pensato che valesse la pena di farlo: la memoria ogni tanto va rispolverata.”
Non è stata forse una scorciatoia trovare solo i lati negativi degli anni 80 italiani?
“Nessuno finora l’aveva fatto: quindi tanto facile forse non era. E un libro, credo, va scritto solo se riempie un vuoto, se non ripete cose già dette: non avrebbe avuto senso raccontare cose già raccontate, di cui sono piene le librerie e i siti web. Nel prologo lo spiego, credo onestamente: gli anni 80 sono stati questo, questo e quest’altro, nessuno lo dimentica, ma lo avete già letto e visto, io vi racconto invece altro, che finora nessuno vi ha raccontato. E ve lo documento puntualmente.”
Qual è il danno più grande prodotto da quella decade?
Sicuramente la volgarità, a tutti i livelli: lo sdoganamento dell’odio e dell’intolleranza, nel dibattito pubblico e nei mass media, nella politica e nella televisione. Penso a quando Radio Radicale trasmise le telefonate dei radioascoltatori senza filtro, e invece che di santi, eroi e navigatori ci scoprimmo essere un Paese di bestemmiatori. Il Paese reale, appunto, proprio quando l’immagine dell’Italia nel mondo era ai massimi storici. Da allora, in fondo, non siamo più cambiati.”
Pensi che i cosiddetti “nostalgici” degli anni 80 sopravvalutino il periodo?
“No. Semplicemente, che ne conoscano solo una parte.”
Salva almeno 3 cose degli anni 80.
“La fine del terrorismo. La notte dei Mondiali. E la mia verde adolescenza.”
Secondo te cos’è rimasto della Milano da bere degli anni 80?
“L’assenza di senso del limite, un certo spregio delle regole, una buona dose di irresponsabilità. Ma parlo delle classi dirigenti. Per noi cittadini comuni, più che altro nostalgia non del tutto consapevole.”
Nelle tue pagine parli di razzismo, volgarità, di un’Italia becera interessata solo a divertirsi. Ne stiamo pagando le conseguenze?
“Senz’altro: in termini economici, la curva della crescita del debito pubblico in quegli anni e le baby pensioni lo dimostrano in modo palmare. Sul piano etico, se vogliamo definirlo così, non è poi diverso: allora si pensava di potersi permettere tutto, e quindi che tutto fosse permesso. Il fenomeno degli ‘hater’ in rete, la crescente intolleranza verso l’uomo nero e il diverso in generale, oggi sono figli anche di quella irresponsabilità: della perdita di ogni freno inibitorio.”
Che musica ascoltavi in quel periodo?
“All’inizio del liceo, un po’ tutto il rock degli anni 70: Pink Floyd, Genesis, Led Zeppelin, Deep Purple, EL&P, la West Coast statunitense. Più avanti sono passato al progressive vero e proprio: Soft Machine, Gong, Henry Cow, Magma, tutto il kraut rock tedesco, Philip Glass e il minimalismo. E gli Area. E il Miles Davis elettrico. Da lì non mi sono più mosso.”
Dicci la verità, eri un paninaro ma te ne vergogni.
“No, non lo ero: mai avuto il Moncler. Con il mio gruppo suonavamo solo Hendrix, Led Zeppelin, Cream, Who e ZZ Top. Ed eravamo in durissima competizione con l’altro gruppo del liceo, che suonava solo Duran Duran e Spandau Ballet. Ripensando al libro, c’è qualcosa di freudiano.”
https://www.youtube.com/watch?v=Fn-7NpGJNsQ
C’è qualcosa che non sei riuscito ad inserire nel libro?
“Ho tagliato per ragioni di spazio una decina di pagine in cui raccontavo la vicenda di “A.A.A. offresi”, un programma che nel 1981 la Rai non trasmise mai dopo averlo più volte annunciato: era una sorta di candid camera nell’appartamento di una prostituta, in cui comunque i clienti erano irriconoscibili. Vizi privati e pubbliche virtù: un buon esempio della morale sessuale di inizio anni 80. Come peraltro dei giorni nostri.”
Riusciresti a scrivere un libro dedicato agli anni 80 parlando solo delle cose positive del periodo? (e non dirci che non ne hai trovate).
“No. Perché replicare libri altrui?”
Ti ringraziamo e magari ti invitiamo a cena per un piatto di pennette alla vodka.
“Solo se anche con rucola, grazie.”
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