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Seul 1988: i 100 metri più sporchi del mondo

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Seul
“Doping free” oggi vuol dire “libero dal doping”, ma negli anni 80 significava piuttosto “doping libero”, ovvero che ci si dopava un po’ dappertutto, dal wrestling al pattinaggio su ghiaccio, senza particolari problemi.

Sono gli anni in cui lo staff di Francesco Moser, in preparazione per il record dell’ora, presenta l’auto-emotrasfusione come la frontiera della prestazione sportiva; gli anni in cui la Guerra Fredda esce dai silos nucleari ed entra nei laboratori biochimici, e dall’Est arrivano velocisti muscolosi come Ivan Drago e capaci di confrontarsi ad armi pari (si fa per dire) con i geneticamente più dotati americani e giamaicani.

Nella cultura mondiale il doping è come le sigarette: è certo che renda fighi, mentre non è sicuro che faccia male.
Gli scandali alla Lance Armstrong sono ancora lontani, e gli atleti top sono come le banche degli anni 2000: “too big to fail”, troppo importanti per venire puniti.

È il caso di Carl Lewis, la cui sospensione del 1988 viene provvidenzialmente sospesa in tempo per farlo partecipare alle olimpiadi di Seul, le ultime del decennio.
Carl Lewis è il figlio del vento, l’uomo dei record e dello sport: bello, corretto, invincibile. Ha fatto incetta di ori per tutto il decennio ed è all’epoca l’atleta più popolare del mondo.
Impossibile escluderlo dalle olimpiadi, sarebbe uno smacco troppo grande per il team USA. Del resto la concorrenza è agguerritissima: tutti i riflettori sono sulla sfida col giamaicano naturalizzato canadese Ben Johnson, il rambo degli sprinter con la sua esplosiva struttura muscolare, e con il colosso inglese Linford Christie, uno che ha imparato a correre scappando dai poliziotti nei sobborghi di Londra.

E così a Seul si apparecchia una finale dei 100 metri maschili da sogno, che tutti guardiamo con il fiato sospeso senza sapere che verrà ricordata come “la più sporca della storia” (e non che quella dei 100 femminili sia stata da meno…). La prima ad essere ribaltata da un verdetto-bomba, la squalifica di Ben Johnson che vince con un galattico nuovo primato mondiale: 9,79″. Della faccenda si parlerà per mesi, e questo sarà il primo scossone all’innocenza del mondo sportivo, che verrà poi definitivamente persa negli anni Novanta in tutte le discipline, dal nuoto al tennis, lasciandoci oggi in una condizione di scetticismo permanente: oggi è più facile che un record crolli sotto le bordate dell’antidoping che della concorrenza di altri atleti.

Ma torniamo alla finale più sporca della storia. Sugli otto uomini più veloci del mondo in quel 1988, solo tre risulteranno sempre negativi ai controlli. Eccoli in ordine di arrivo… prima delle squalifiche.

1. Ben Johnson (CAN) corsia 6: 9,79″ (squalificato)
Un fulmine ai blocchi, imprendibile in seguito, risulterà però positivo allo stanozol. Medaglia e record revocati, scandalo e carriera di fatto finita. Lo beccano positivo altre volte, sconterà una lunga squalifica per rientrare molto meno gonfio e altrettanto meno veloce. Più tardi diventa allenatore di uno dei figli di Gheddafi, e ancora più tardi un testimonial della lotta al doping. Meglio tardi che mai.

2. Carl Lewis (USA), corsia 3: 9,92″
Già una leggenda dell’atletica, a Seul migliora il suo limite a quello che dopo la squalifica di Johnson diventerà il nuovo record mondiale; poi lo perderà da Leroy Burrell e lo riconquisterà nel 1991 a Tokyo con 9,86. Un atleta immenso… ma che si è scoperto poi essere risultato positivo per ben 3 volte ai test prime del 1988, ma in qualche modo “coperto” dalla Federazione. In quanto figlio del vento lo presero per “figlio di” qualcuno e quindi per

 

3. Linford Christie (GBR), corsia 4: 9,97″
Il più famoso e titolato sprinter britannico è un talento naturale immenso. Inizia a fare atletica solo a 19 anni, diventerà campione alle olimpiadi di Barcellona nel 1992. A Seul risulta positivo dopo la finale dei 200, ma dà la colpa a un tè al ginseng e i giudici sportivi gli credono. Bei tempi.

4. Calvin Smith (USA), corsia 5: 9,99″
L’unico della top 5 originale a non essere mai risultato positivo a un test: e infatti nessuno se lo ricorda. Decisamente, non è un mondo per atleti onesti. Se non altro, nel 2007 è stato inserito nella Hall of Fame dell’atletica USA.

5. Dennis Mitchell (USA), corsia 8: 10,04″
Arriva a Seul giovanissimo, ma avrà una lunga carriera con due ori ai Mondiali di Atletica, finché nel 1998 lo pizzicano positivo al testosterone. Si difende dicendo di aver fatto sesso quattro (4) volte con la moglie il giorno della gara, ma i tempi sono cambiati e i giudici non gli credono. Nei difficili mesi che seguono lo chiama soltanto Rocco Siffredi, ma poi non se ne fa nulla.

6. Robson da Silva (BRA), corsia 1: 10,11″
Il più grande talento della velocità brasiliano porta a casa da Seul un bronzo nei 200, risultato storico per il suo Paese. Un altro di quelli che risulterà sempre pulito. Bravo.

7. Desai Williams (CAN), corsia 7: 10,11″
Esce dai Giochi pulito, ma poco dopo un’inchiesta scopre che un dottore gli aveva fornito steroidi anabolizzanti. Si ritira e passa ai Toronto Argonauts, un team di football americano al quale porta la sua velocità e le sue competenze in fatto di… allenamento.

8. Ray Stewart (JAM), corsia 2: 12,26″
Come dice il proverbio, qui il più sano ha la rogna. Anche l’ultimissimo della finale, che si becca 2 secondi e passa da Johnson e Lewis, viene incriminato per traffico di sostanze proibite e bandito a vita da qualunque sport dalla commissione per l’atletica USA.

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