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Spagna 1982. I quarant’anni del mondiale della nostra meglio gioventú. (1 parte)

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Spagna 1982
Spagna 1982. I quarant’anni del mondiale della nostra meglio gioventú.

Poche date e poche vittorie della nostra Nazionale, sono scolpite nella memoria di un paese intero, come il Mundial spagnolo del 1982.

E’ “il mundial” per eccellenza. E’ la vittoria delle vittorie, quella che mancava da 44 anni, da quel 1934 nel quale l’Italia, il mondo, il football erano un’altra cosa.

Ma per capire cosa fosse realmente successo tra il 13 giugno e l’11 luglio 1982 occorre fare un passo indietro.

Occorre capire dove e quando è iniziato realmente il cammino che ci ha portati a sollevare la Coppa del Mondo di Calcio, in quella calda estate dell’82.

Occorre riavvolgere il nastro della storia, fare due passo indietro e cambiare continente. Occorre volare in… Argentina.

Era il 1978, quando la nostra meglio gioventú sbarcava a Buenos Aires per partecipare alla Coppa del Mondo organizzata dalla dittatura militare di Jorge Videla. Era l’Argentina del golpe militare, dei giovani desaparecidos.

Era però, per noi italiani, anche il paese dove per oltre un secolo, altri connazionali, carichi si sogni e di speranze, a bordo di enormi transatlantici, erano sbarcati dopo aver fatto migliaia di chilometri di oceano, schiacciati come sardine.

Italiani che avevano dovuto rinchiudere tutta la loro vita dentro ad una valigia, chiusa alla meglio con dello spago, ed abbandonare la Patria.
Ed avevano deciso che quel paese enorme, sconfinato, sarebbe diventata la loro nuova Italia; l’Argentina.

I nostri ragazzi azzurri, la nostra meglio gioventú, era arrivata a Buenos Aires, per stupire il mondo. Per realizzare un sogno mondiale… per far saltare i pronostici e scatenare una rivoluzione.

Ma a Buenos Aires, l’ordine costituito che non aveva battuto ciglio nel massacrare decine di migliaia di ragazzi, non ebbe problemi nel tenere a bada le velleità di un manipolo di ragazzi venuti dall’Italia.

E si sa… la differenza tra essere patetici ribelli o eroi rivoluizionari è sottile. E’ la stessa differenza che c’è tra vincere e perdere.
Se perdi, sei semplicemente un riottoso e della la tua rivolta rimarrá solo l’eco di una voce strozzata.
E’ la differenza tra una rivolta e la rivoluzione. Se una rivolta ha successo, si chiama rivoluzione. Se la stessa rivolta viene soffocata, allora resta solo una rivolta.

Ma con il senno di poi possiamo dire che l’appuntamento con la rivoluzione era solo rimandato.

Ma vediamo meglio come erano andate le cose in quel Mundial Argentino.

Argentina 1978

La spedizione in Germania nel ’74 fu avvelenata da gelosie e divisioni in gruppi. Il risultato: una pessima figura ed una eliminazione cocente al primo turno della fase finale.
Proprio di fronte a milioni di connazionali emigrati in Germania che speravano in un buon risultato della Nazionale per poter sventolare il tricolore con orgoglio.

Si dovette quindi ripartire da zero. Costruire proprio sulle macerie di quello sciagurato mondiale.
Ad un vecio furlán, Enzo Bearzot, toccò il compito di ricompattare le fila e provare a dare nuova linfa alla passione azzurra.
Pur qualificandosi in modo billante (eliminammo l’Inghilterra!), come sempre non erano mancate critiche feroci da parte della stampa nostrana al gioco degli azzurri, giudicato eccessivamente prudente e difensivista.

Iniziammo il cammino in terra porteña in modo brillante.
Superammo il primo girone alla grande (primi a punteggio pieno, contro l’Ungheria, la Francia ed i padroni di casa argentini) e si giunse ad un soffio dal sogno della finalissima di Buenos Aires!

E dire in semifinale stavamo 1-0 per noi, grazie ad un autogoal dei nostri avversari: l’Olanda. Eh, si! Affrondavamo l’Arancia Meccanica! L’Olanda di Crujiff, vice campione del mondo.

Punteggio che ci avrebbe permesso di sfidare l’Argentina nella finalissima del 25 giugno.

Peccato peró che Bearzot decise di togliere Causio (pensando di proteggerlo proprio in vista della finale. Gli olandesi infatti stavano picchiando come fabbri)
Tolto il Barone dal rettangolo di gioco per inserire Claudio Sala, si spense la luce. Un errore di presunzione (o di gioventú?) che ci costó la finale.

Gli olandesi non riuscendo a superare l’arcigna difesa azzurra, con due missili da fuori area fissó il risultato sul 2 a 1 per loro. Olanda in finale, Zoff da un buon oftalmologo ed azzurri a giocarsi la finalina per il terzo e quarto posto, contro il Brasile.

Segnamo con Causio, che colpisce anche una clamorosa traversa. Grazie a due altri due tiri da fuori, Zoff, il suo oftamologo e la nostra nazionale si dovettero accontentare di un onorevole quarto posto..

Con il trionfo degli uomini guidati da César Luis Menotti, caló il sipario su di uno dei mondiali piú controversi, per la presenza della dittatura militare che utilizzó il mondiale – come é spesso accadutro nella storia piú o meno recente- per autocelebrarsi.

Fu il mondiale che, tra le altre cose, passó alla storia per la vernice nera alla base i pali della porta. Si scoprí poi che si trattava di un messaggio in codice per celebrare il lutto dei morti e dei desaparecidos vittime della Junta Miltare di J. Videla.

Noi peró ci sentivamo bene. Perché una generazione di ragazzi ci aveva fatto sognare, piangere ed abbracciare. Perché la nostra meglio gioventú stava sbocciando.

Correva l’anno…

Scorrendo l’almanacco del 1982 ci si accorge che quello fu un anno davvero speciale. Fatto di storie grandi e piccole. Che vale la pena rivedere insieme.

E’ l’anno dell’addio a due miti assoluti: John Belushi e Gilles Villeneuve.
E’ l’anno della Guerra delle Falkland/Malvinas tra Argentina ed Inghilterra; le truppe di sua Maestá, inviate dalla Lady di Ferro, Margaret Thatcher, risposero con forza alla invasione delle isole contese da parte dei militari argentini che rivendicavano diritti territoriali.

Una storia triste e drammatica, che Maradona “vendicherá“ esattamente quattro anni dopo, al mondiale messicano, grazie a: “la cabeza de Diego y la Mano de Dios“.

Il 1982 é anche l’anno del Commodore 64, lanciato al prezzo di 595 dollari (equivalente a circa 1,700 dollari di oggi) sul mercato americano. E’ l’anno del lancio del primo CD.
L´anno di Thriller, di Michael Jackson, e di E.T. di Steven Spielberg.

Sul “fronte“ opposto, quello sovietico, si registra la fine di una era; muore a Mosca Leonid Breznev, Presidente dell´Unione Sovietica. Il presidente della guerra fredda, della corsa agli armamenti, delle crisi sfiorate, della tensione con la Polonia.

Erediterá il suo posto, Andropov… ma per poco. Dopo solo 15 mesi, verrá eletto capo del PCUS, Mikhail Gorbachev. E da lí inizierá una nuova storia.

Tornando a casa nostra, il 1982 é l’anno in cui Silvio Berlusconi acquista e lancia un canale televisivo rivolto ad una fascia di etá giovane.

Un canale che per molti versi racchiude e racconta un modo nuovo di voler vivere; piú spensierato, piú leggero. Si tratta di Italia 1.

Il canale dei telefilm come Happy Days e Hazzard. Del Festivalbar. Di Mai Dire Goal. Di Drive In e per i piú piccoli è il canale di Bim Bum Bam e dei cartoni animati giapponesi.

Una estate… al mare?

La musica dei primi anni ottanta…

Nel 1979, i Buggles ci avvisarono che “Video Killed the Radio Star“. Furono facili profeti.
Un anno dopo, fu il nostro Edoardo Bennato a ricordarci che in fondo “sono solo canzonette“.

Era terminato il periodo delle canzoni impegnate, politiche, di denuncia solicale e politica.

La musica del 1982, anche le canzonette da ascoltare “sotto l’ombrellone“ avevano bisogno di immagini, che catturassero gli occhi ed il cuore (oltre che le orecchie!).
Il 1982 fu l’anno di Falco. Il rapper bianco che cantava “Der Kommissar“.

Phoebe Cates ci regaló atmosfere struggenti (ed il sottofondo per qualche pomiciata) con la sua Paradise. Lo stesso fece la colonna sonora di Reality cantata da Richard Sanderson.

Ma nel Belpaese, esterofilo e sempre un pó stregato dalla musica “straniera“, non mancarono le canzonette italiane a riempire le classifiche dei singoli piú venduti.
“Avrai“ di Claudio Baglioni, fu una canzone che attraverserá i decenni e sará per sempre un inno all´amore ed alla speranza.

Romina Power seppe scalare le classifiche sia con il suo Ballo del Qua-Qua, che con “Felicitá“ cantata insieme all´inseparabile (beh.. non proprio) Al Bano.
Sanremo, ci regaló le parole struggenti della canzone trionfatrice della kermesse canora: Storie di Tutti i Giorni di Riccardo Fogli.

Non mancavano poi le “canzonette“ un pó rockettare, un pó elettroniche e molto giocose come Ping Pong di Plastic Bertrand, Lamette di Donatella Rettore e Tanz Bambolina di Roberto Camerini.

Nella mia personalissima hit parade, peró, metto tre canzoni.
Al primo posto dei ricordi musicali legati al 1982 una canzone che al solo ritornello ci fa sognare le spiagge e le onde di “una estate al mare“.

Della indimenticata ed indimenticabile Giuni Russo.

Al secondo posto, un’altra hit che a distanza di tanti tanti anni non smette di farci ballare e farci divertire: Bravi Ragazzi di un (allora) giovanissimo Miguel Bosé!

Per chiudere con i “Masters“ che scimiottando il successo del gruppo tedesco “i Trio“, celebrarono la vittoria del mondiale con una super orecchiabile “Da Da Da.. son tutti figli di Bearzot“.

Italia, 1982. La politica…

Prima peró di raccontarvi, per l’ennesima volta, della tribolata qualificazione, dei tre pareggi contro Polonia, Peru e Camerun, del miracolo del Sarriá e del finale wagneriano del nostro mondiale in Spagna, parleremo di come andavano le cose sulla nave Italia, in quel 1982.

E insomma non é che andassero benissimo…

Il paese viveva una pesante crisi sia politica che economica. E lo sport, come sempre, non ne era rimasto indenne.

L’anno si aprí con due rapimenti eccellenti, entrambi ad opera delle BR: quello del Gen. Dozier, liberato dalla CIA, e quello di Ciro Cirillo, liberato dai brigatisti a cambio di un riscatto di circa 1 miliardo e ½.

Episodio, quello dell´esponente democristiano, che scatenó fortissimi dibattiti alla Camera. Il pagamento del riscatto fu prima negato e poi ammesso dall´allora Ministro degli Interni Rognoni.

Fu l’anno delle dimostrazioni di piazza; i 200.000 metalmeccanici a Roma, e la manifestazione contro la base missilistica di Comiso.
Fu l’anno del crack del Banco Ambrosiano e dei mille interrogativi che il ritrovamento del cadavere di Roberto Calvi, appeso ad una impalcatura sotto il ponte dei Blackfriars a Londra, lasció irrisolti.
Sará anche l´anno dell’omicidio del Generale Dalla Chiesa.

Alla guida del paese, il fragile e traballante governo Spadolini. Che puntualmente cadde, per far posto ad un “rieccolo“ Fanfani. Tolgiendo il partito repubblicano dal quadripartito di governo, e spalancando le porte ad una stagione nella qule fu assoluto protagonista (comunque lo si voglia giudicare) un arrembante Bettino Craxi.

… e lo sport.

Giá … lo sport. O più precisamente: il calcio. Che nel Belpaese è praticamente la stessa cosa.
Per capire il contesto complicato, esacerbato, polemico, indignato del paese nei confronti degli dei del pallone, occorre anche in questo caso rimettere le lancette dell’orologio indietro di due annni.

Al 1980. All’anno, cioè, dello scoppio del primo caso di calcioscommesse in Italia.
Che allora fu battezzato: il “Totonero“.
Una bufera dalla quale non si salvó nessuno. Squadre, dirigenti, atleti. Macchiando anche i ragazzi della nostra meglio gioventú, come Paolo Rossi.

La spedizione in terra di Spagna, non partiva bene.

Le polemiche sono aspre e la truppa assemblata dal Vecio Furlán, Bearzot, non era affatto amata dai 50 milioni di allenatori italici.

Ci separavano – la Nazionale ed i suoi tifosi – gli scandali, la diffidenza, la frustrazione.
Alla vigilia della partenza per Vigo, Bearzot rifiló una sberla ad una tifosa che gli aveva dato della scimmia. Oltre agli scandali, le accuse al tecnico per la mancata convocazione del talento di Evaristo Beccalossi, o dei goal di Roberto Pruzzo.

All´attaccante della Roma, appena laureatosi capocannoniere della serie A, Bearzon preferí Paolo Rossi. Un giovane attaccante che aveva fatto bene con Lanerossi Vicenza e Perugia e che si era espresso ad alti livelli nel mondiale di Argentina. Ma che aveva appena finito di scontare due anni di squalifica per i fatti del Totonero.

Ma si sa… quando gioca la Nazionale, chi di noi non é allenatore? Chi di noi non ha la formula giusta, lo schema piú azzeccato e gli undici migliori da mandare in campo?

Nel bene o nel male… il 16 maggio caló il sipario sulla serie A e non ci fu neppure troppo tempo per le polemiche tra juventus e fiorentina per il finale movimentato del campionato (vinto poi al fotofinish dai bianconeri). Iniziava il mondiale e l´Italia non partiva certo con i favori del pronostico..

La Galizia

A Vigo, in Galizia, il clima é gradevolmente fresco. E´una regione che d’inverno, pur essendo parte della Spagna, pare un fiordo norvegese. Sia per il freddo che per il carattere chiuso e diffidente dei gallegos.

Nel ritiro azzurro le temperature (metereologiche) sono piú che gradevoli.
Quello che non é invece particolarmente gradevole, é la qualitá del gioco espresso nelle prime tre partite del torneo. Quelle del primo girone di qualificazione.
Siamo lenti, prevedibili.. o per usare un aggettivo che non si é mai ben capito se sia un pregio o un difetto: italianisti. Difesa attenta e contropiede!

Contro una discreta Polonia, un modestissimo Perú ed una nazionale di semisconosciuti come il Camerun, tutto quello che riusciamo a produrre sono due golletti in tre partite (e subendone altrettanti). Producendo pochissime occasioni e qualificandoci – come secondi nel girone – grazie alla differenza reti.

Gli attenti lettori dei quotidiani nazionali, apprendono che nonostante lo spettacolo indegno offerto dalla nazionale, ai calciatori vengono staccati ricchi assegni sotto la voce “premio qualificazione“! Le conseguenze furono: tifosi infuriati e tre interrogazioni parlamentari…

La nazionale cercó cosí di proteggersi e chiudersi in se stessa, dando inizio ad un nuovo rito pagano: il silenzio stampa.
Dal ritiro azzurro non sarebbero emerse interviste, indiscrezioni, anticipazioni, commenti. Solo brevi comunicati, scanri, sussurrati a labbra semichiuse dal meno loquace del gruppo. Dino Zoff, altro furlán, giá quarantenne e quindi il fratello maggiore, o lo zio, della nostra meglio gioventú.

Il silenzio stampa sarebbe durato fino alla fine del mondiale.

Evitato il rientro in patria, e probabilmente una buona razione di pomodori, per il rotto della cuffia, il destino teneva in serbo per noi e per i nostri ragazzi due partite formidabili.
Ci toccó in sorte un secondo girone di qualificazione che definire proibitivo era un eufemismo: l´Argentina di Diego Maradona, campione del mondo uscente, e il Brasile di… giá di chi? Di Zico? Di Cerezo? Di Eder? Di Socrates? Di Falcao? Beh.. quella roba li. Quella nazionale verdeoro fatta di marziani o di semidei olimpici.

Non sarebbe durato quindi molto lo stillicidio di quel mondiale. Giusto il tempo di renderci ridicoli in mondovisione, e poi la pagliacciata del silenzio stampa sarebbe finita. Per dare inizio al carosello di plotoni d´esecuzione sotto forma di processi televisivi e radiofonici.

Visca la Catalunya

Le partite del secondo infernale girone, si svolgeranno lontani dalla fresca Galizia, Ad attenderci le torride temperature dell´estate catalana.
Giochiamo a Barcellona… ma non nello stadio figo e monumentale, il Nou Camp del Barça. Bensí nell´altro stadio di Barcellona: el Estadio de Sarriá. Quello dell´Espanyol, i cugini poveri dei blaugrana.

Il giorno prima della gara, il direttore tecnico degli argentini si tira addosso la piú classica delle gufate.
Che tra di noi ci si dica che siamo scarsi, ok. Ma quando sono degli arroganti argentini a dircelo. Beh.. allora lí ci secchiamo. E parecchio.

Cesár Luis Menotti, ebbe a dire che come Nazionale siamo arretrati di cinquant’anni, dichiarandosi CERTO di passare il turno.
Giovanni Brera Fu Carlo, della bassa padana, non certo timido nelle critiche a Bearzot ed alla truppa azzurra, si disse “incredulo di tanta grossezza“.

E ricordó al Ct dell’albiceleste la pappina che Bettega mise alle spalle di Fillol proprio in Argentina, quattro anni prima. Non cinquanta anni. Solo quattro. Ed in casa loro.

Le nostre reti furono il risultato dei piú classici dei contropiedi. Ben orchestrati, veloci. Lasciando impietriti gli spavaldi argentini che avevano dimenticato di aver vinto essi stessi un mondiale con le stesse armi; difesa ai limiti del regolamento e contropiedi fulminanti.
Provarono a restituirci pan per focaccia, gli argentini. Cercando di rispondere colpo su colpo alle entrate di Gentile sul Divo Diego, a quelle di Oriali, a quelle di Tardelli.

Ma iniziarono a fioccare cartellini gialli sulle teste di Maradona, di Passarella, sia per la condotta di gioco che per le proteste veementi. Si erano dimenticati che non erano piú a Buenos Aires ma in Spagna. E gli arbitri lo sapevano benissimo.

Dopo il secondo goal nostro, inizia un arrembaggio da parte dell’albiceleste. Un dominio tattico e fisico… gli argentini entrano per far male. Ma resistiamo, nonostante l’apprensone per il goal di Passarella, che fissa il punteggio su di un più veritiero 2-1 (il 2-0 sarebbe stato eccesivamente generoso a nostro favore).

Giuann Brera chiosó il suo articolo sulla partita dicendo: “che maledetta noia, sarebbe il calcio, se a vincere fossero sempre i migliori“.

 

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