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The Travelling Wilburys: cinque normalissimi fenomeni

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The Travelling Wilburys
La maggior parte di noi ottantenni è troppo giovane per aver vissuto anche solo un riflesso dell’epoca d’oro dei Beatles.

Io in particolare all’epoca avevo l’impressione di essermi perso qualcosa, ma quando sei adolescente c’è poco da fare: il passato è passato. Tutto quello che sapevo dei Beatles, così, era che Paul McCartney aveva cantato Say Say Say con Michael Jackson, e quando nel 1987 uscì “Cloud Nine” di George Harrison, fui ben contento di affezionarmi al motivetto Sixties di “I’ve Got My Mind Set On You” e alle sonorità Seventies di “When We Was Fab”.

Ma questo era ancora nulla in confronto a quello che successe quando, qualche mese dopo, la mai troppo compianta Videomusic scelse come video della settimana “Handle With Care” dei Traveling Wilburys. Si trattava di un quintetto di chitarristi scombinati, che si presentavano come la tipica band di musicisti girovaghi all’americana, composta da fratelli e cugini (Nelson Wilbury, Otis Wilbury, Lefty Wilbury, Charlie T. Wilbury Jr., e Lucky Wilbury) con un repertorio più o meno folk.

Nel video il gioco dei Wilburys non poteva durare: ma anche se fossi stato cieco sarebbero bastate le voci a rendere evidente che i Wilburys non erano né parenti né tanto meno sconosciuti. Si trattava in realtà di George Harrison, Jeff Lynne degli Electric Light Orchestra, Roy Orbison (quello di Pretty Woman), Tom Petty e Bob Dylan. Immaginatevi la soddisfazione, per un quattordicenne curioso e senza internet, di avere a che fare finalmente, con Harrison, Dylan e Tom Petty: tutti insieme, una strofa per uno.

Certo, quelle strofe non venivano da All Along the Watchtower e da Hey Jude, ma lì per lì non ci feci troppo caso, e anzi il giro di chitarra di Handle Me With Care – che non c’entra niente con gli anni 80, e probabilmente non c’entra molto con nessun’altra epoca storica – mi entrò comunque nelle orecchie in via definitiva, tant’è che ancora lo fischietto di tanto in tanto.

In quegli anni i Supergruppi non erano infrequenti, e il bello è che di solito non erano partoriti dal marketing o dagli agenti. Molto spesso si formavano per amicizia, stima e il gusto di suonare insieme. Nello specifico Harrison stava collaborando con Lynne, che aveva prodotto molto materiale di Cloud Nine; e mentre andava a registrare un B-side per Cloud Nine nello studio personale di Dylan, George si fermò a recuperare una chitarra che aveva dimenticato da Tom Petty: e già che c’era lo invitò in studio. Lì trovò anche Roy Orbison, portato da Lynne, sicché alla fine si ritrovarono in cinque: e il brano che ne uscì apparve da subito troppo buono per fare da B-side.

Handle With Care non divenne una mega-hit, ma per me e credo molti altri fu l’occasione di familiarizzare con il talento chitarristico di George, la semplicità melodica di Tom, la voce “lunare” di Roy e il particolare timbro vocale di Bob: uno che, come mi disse il mio amico Andrea, aveva scritto le canzoni più belle di sempre e le aveva cantate nel modo più brutto di sempre.

Forse proprio perché nato senza pressione e un po’ per caso, il primo album dei Wilburys fu di alto livello; se ne progettarono altri, ma poi troppo presto venne a mancare Roy, e poi troppo presto venne a mancare George, e poi troppo presto venne a mancare Tom (lui un paio di mesi fa), e insomma anche per i Travelling Wilburys era scritto che dovessero rimanere confinati negli anni ottanta.

Forse era del resto inevitabile, perché di quel modo di trovarsi a suonare insieme per il puro piacere di farlo, e di non prendersi troppo sul serio, si sono da allora perse le tracce.

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