Al giro di boa degli anni 80 facevo il mio ingresso, non proprio trionfale, alle scuole medie: ma nell’economia del decennio, devo ammettere che il 1985 è importante per ragioni più generali.
Come tutti gli anni col 5 finale, l’85 è un anno importante non solo dal punto di vista matematico, ma anche da quello psicologico. L’anno in cui si fanno i bilanci della prima metà del decennio in corso, si archivia definitivamente l’eredità del decennio precedente (70) e si inizia a immaginare il successivo (90). Per le aziende più o meno alimentari sono gli anni della prima ondata “salutista”: ondata relativa, visto che si fuma ancora tranquillamente dappertutto e la mania delle diete è di là da venire; ma sono comunque gli anni in cui vengono lanciati la margarina, i dolcificanti, i succhi di frutta formato famiglia, il “buon pesce tutta forza”, esplode la moda degli yogurt e insomma il mangiar sano (o quello che qualcuno sostiene esser sano) comincia ad avere il suo appeal.
Anche l’industria dolciaria, ovviamente la più minacciata da questa tendenza, inizia a esplorare nuove proposte. Le cicche, cicless, gomme, cingomme o masticogne che dir si voglia vengono depotenziate, dezuccherate, rimpicciolite (avete presente le Brooklyn e le Big Babol, vero?) e lanciate come prodotto che combatte lo sporco e l’alito cattivo. E poi la gomma da masticare, che “non si attacca al lavoro del tuo dentista”, è addirittura raccomandata dall’Associazione Medici Dentisti Italiani (io ne ho conosciuti parecchi contrari: si vede che erano di un’altra associazione).
Per le caramelle, però, la faccenda era più complicata. Prima di tutto, le caramelle si attaccano al lavoro del dentista, non c’è niente da fare. Il cardiologo non le può vedere, per non parlare del dietologo. A che santo ci si poteva votare? Gli uomini del marketing non si scoraggiarono, si scervellarono e lo trovarono: l’otorinolaringoiatra. Arrivò così la valanga delle balsamiche, tutte di fabbricazione estera per non lasciar dubbi: noi italiani facevamo solo dolciumi; gli stranieri, invece, dei bon bon curativi. Rìcola (spese addirittura uno spot per spiegare la pronuncia corretta dopo che per una decina d’anni, essendo l’Italia il Paese delle parole piane, avevamo pronunciato Ricòla), Monks, Fisherman’s Friend, eccetera. Ognuna con il suo corredo di tornadi polari sempre più devastanti, al punto che per mesi e mesi non mi azzardai a toccarle.
Alle medie, potendo uscire più spesso a giocare che alle elementari, mi ammalavo anche più spesso. In seconda passai praticamente tutto l’inverno tra tosse, influenza e raffreddore, lottando con l’herpes come Giobbe. Respiravo male e dormivo peggio, e fu così che un bel giorno presi la decisione e con la risoluzione tipica dei dodici anni andai in tabaccheria e chiesi sfrontatamente una confezione di… Victors Respira Vivo. Col tono di chi sfidava il pericolo.
Ora, le Victors Respira Vivo non erano caramelle qualunque. Erano l’Arma Definitiva, l’equivalente otorinolaringoiatrico dello Scudo Spaziale americano. Si diceva avessero una potenza spropositata, che fosse impossibile tenerle in bocca, che sciogliessero qualunque catarro. La pubblicità lo diceva chiaramente: Si Sente Nella Gola E Si Sente Anche Nel Naso. Anche quella non era una pubblicità qualunque: era una delle migliori di sempre, delle più convincenti. E per finire, c’era la faccenda del packaging: il tabaccaio mi consegnò non il classico pacchetto di caramelle a tubetto, ma un pacchetto-pacchetto con dentro le Victor’s sciolte, incartate una a una con i due rotolini di carta ai lati. Come dire: eravamo un passo sotto il Dispositivo Medico, e in quanto tale anche il prezzo era molto più alto delle altre.
L’unico problema con le Victors fu che mi durarono veramente poco, perché tutti i miei amici, e soprattutto quelli che non avevano nessun problema di gola, vollero assaggiarne una appena me le videro. Li capivo: volevano scoprire se era vero che si sentivano nella gola e anche nel naso; e soprattutto, in ossequio all’appendice che tutti inevitabilmente avevamo appiccicato allo spot, anche nel didietro. Per il primo quarto d’ora la classe si trasformò in un ospizio, con tredici maschi dalla scarsa abitudine a soffiarsi il naso che provavano a inspirare a tutto vapore. Vi lascio immaginare il concerto, che fu comunque nulla a confronto di quello che avvenne dopo, quando passammo a verificare se le Victors agivano anche nei confronti del didietro. Non ci parve che i peti ne uscissero modificati, perlomeno non in meglio.
No, decisamente le Victors non passarono la verifica strumentale; come del resto non la avevano passata le Fruittella.
Inutile dire che la mia esperienza con le Victors finì lì. Mi sparai le poche rimaste nei giorni successivi, e mi rassegnai all’aerosol. Dopo un po’ le Victor’s smisero di fare pubblicità, poi anche di esistere, e mi dimenticai di loro per molti anni. Finché arrivai al primo anno di università. Lì si incontrava gente proveniente da tutta Italia, e per me che ero cresciuto per intero nella profonda provincia emiliana fu una rivelazione. In particolare lo fu il giorno che andai a trovare Andrea in Abruzzo, e sua madre mi servì un piatto di spaghetti con del sugo di pomodoro fatto in casa, completato da peperoncino di sua coltivazione. Non so se la dose fosse prudente, normale o forte, sta di fatto che alle mie papille vergini di piccantezza quel piatto fece l’effetto di centomila Victors, tant’è vero che mi misi a piangere (e non di commozione).
Non solo: il giorno dopo scoprii sbalordito che il peperoncino non solo si sentiva nella gola e anche nel naso, ma si sentiva persino nel didietro. Bastava aspettare. E in quell’istante capii che non è vero che gli svizzeri la sanno più degli italiani. Semplicemente si sanno vendere meglio.
Un piccolo appunto: victors e monk’s erano all epoca prodotti italianissimi. Ora solo monk’s.
hahahahah 😀 grandissimo!!! ho riso un sacco!
Comunque ricordo che effettivamente Victors e Halls bombardavano di pubblicità…anche io la prima volta che ne ho mangiato una ho fatto attenzione alla gola e al naso (al didietro sinceramente non ci avevo proprio pensato 🙂
Da bambino ne ho mangiate tante volte e mi chiedevo se esistessero ancora. Anche mia nonna ne aveva a casa sua